Chiara
6 Novembre 2025
Tempo di lettura: 5 minuti

Immagini create dall’AI: come cambiano la percezione e la fiducia?

La questione non è più “se” l’AI cambierà la comunicazione, ma come il cervello umano reagirà a contenuti che sembrano reali ma non lo sono. E dietro questa rivoluzione visiva si nasconde un tema psicologico profondo: il rapporto tra autenticità, fiducia e percezione.
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Negli ultimi mesi, i social e il marketing visivo sono stati travolti da un nuovo protagonista: l’intelligenza artificiale generativa. Immagini iperrealistiche, video impossibili da distinguere da quelli “veri”, scenari surreali, sogni digitali: l’AI ha trasformato non solo il modo in cui creiamo i contenuti, ma anche il modo in cui li percepiamo.

La mente davanti all’immagine “non umana”

Per millenni il cervello ha imparato a riconoscere la realtà attraverso segnali visivi e sensoriali.
Oggi, questi stessi segnali possono essere riprodotti da un algoritmo in pochi secondi.
Il risultato? Il nostro cervello crede a ciò che vede, anche quando ciò che vede non esiste.
Un volto generato dall’AI, se realistico, suscita emozioni reali: empatia, attrazione, curiosità, persino fiducia.
Eppure, sappiamo che dietro quel volto non c’è nessuno.

Quando il quasi-umano inquieta

L’“uncanny valley” è un concetto che descrive il disagio che proviamo davanti a qualcosa di quasi umano ma non del tutto.

I contenuti AI, specie quelli visivi, ci stanno portando proprio in quella zona grigia:

  • Non sono disegni, ma non sono fotografie.
  • Non sono umani, ma sembrano provare emozioni.
  • Non sono falsi, ma non sono veri.

Questo genera una sensazione di disorientamento cognitivo: il cervello non sa come collocare ciò che vede, e l’attenzione aumenta.
È per questo che molti contenuti AI ci affascinano tanto: sono strani ma familiari, e quindi irresistibili.

Il fascino dell’iperrealtà

Le immagini AI incarnano il concetto di iperrealtà: ci mostrano un mondo “più vero del vero”.

Colori più saturi, simmetrie ideali, volti perfetti, luce impeccabile: l’AI non imita la realtà, la migliora.
E noi, inconsciamente, la preferiamo.
Il cervello è attratto dalla simmetria e dalla coerenza visiva: è più facile da elaborare, quindi più piacevole da guardare.

Il paradosso?
Più le immagini diventano perfette, più rischiano di perdere la loro umanità emotiva.

Psicologia della fiducia: possiamo credere a ciò che vediamo?

Per secoli, “vedere” ha significato “credere”.
Oggi, “vedere” significa “verificare”.

La fiducia visiva è diventata fragile.
Il cervello continua a reagire istintivamente alle immagini come se fossero reali, ma la mente razionale si trova costretta a dubitare.
Questo duplice livello cognitivo — emozione vs. consapevolezza — genera fatica percettiva: una forma sottile di stress legata all’incertezza del vero.

Nel contesto della comunicazione, ciò implica un enorme cambiamento:

  • Le persone non cercano più solo belle immagini, ma immagini credibili.
  • L’autenticità non si misura più nel “realismo”, ma nella trasparenza.

Il ruolo dell’AI nella creatività umana

Un errore comune è contrapporre AI e creatività, come se la prima minacciasse la seconda.
In realtà, la creatività è un processo di associazione e rielaborazione — proprio ciò che l’AI fa su scala amplificata.

La differenza?
L’AI non ha intenzioneesperienza emotiva.
È l’essere umano a dare senso, direzione e valore simbolico alle immagini generate.

Per questo, l’AI non sostituisce la creatività umana: la espande.
Diventa uno strumento per esplorare possibilità visive che la mente da sola non avrebbe immaginato.
L’importante è mantenere la consapevolezza psicologica del processo: sapere quando e perché usare l’AI, non solo come.

Il nuovo linguaggio visivo della comunicazione

Nel design, nella pubblicità e nei social, l’AI ha portato tre grandi cambiamenti

  1. Simbolismo aumentato — le immagini non rappresentano, ma evocano concetti astratti.
  2. Soggettività visiva — i contenuti riflettono più l’immaginario di chi li genera che la realtà oggettiva.
  3. Estetica emozionale — le immagini AI parlano al sistema limbico più che alla logica: sono progettate per farci sentire, non solo vedere.

Questo apre una domanda chiave: come cambierà la nostra percezione di “vero” e “bello” quando entrambi diventeranno generabili a comando?

L’etica della trasparenza

Con la potenza espressiva dell’AI arriva anche una responsabilità etica: comunicare in modo trasparente.
Il pubblico non teme la tecnologia, ma teme la manipolazione.

Per questo, chi lavora nella comunicazione deve:

  • dichiarare quando usa contenuti generati da AI;
  • evitare di confondere volutamente realtà e artificio;
  • educare il pubblico a leggere criticamente le immagini.

Solo così l’AI può diventare un alleato etico, e non un inganno visivo.

Come integrare l’AI nella comunicazione in modo umano

Ecco alcune strategie pratiche per usare le immagini AI in modo psicologicamente efficace e responsabile:

  1. Usala per amplificare, non per sostituire: l’AI può potenziare l’idea, non creare l’emozione.
  2. Mostra il processo: condividere come nasce un’immagine AI aumenta il coinvolgimento e la fiducia.
  3. Unisci AI e realtà: mescolare elementi reali e generati può creare narrazioni visive ibride e autentiche.
  4. Racconta il perché: spiega l’intenzione dietro il contenuto, non solo la tecnologia che lo ha prodotto.
  5. Crea consapevolezza visiva: educa il pubblico alla lettura delle immagini, non solo alla loro ammirazione.

Conclusione

Le immagini e i video creati dall’intelligenza artificiale stanno riscrivendo le regole della comunicazione visiva. Ci costringono a ridefinire il concetto di verità, di creatività e di fiducia.

La sfida per chi comunica oggi non è competere con l’AI, ma umanizzare il suo uso: restituire significato, emozione e intenzione al linguaggio visivo del futuro.
Perché, in fondo, anche nel mondo delle immagini artificiali, il messaggio più potente resta sempre quello più umano.

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