C’è un formato che negli ultimi mesi sta conquistando i social: i video che mostrano il processo.
Dalla realizzazione di un oggetto artigianale al montaggio di una campagna pubblicitaria, dalla creazione di un logo al restauro di un mobile — tutto ciò che mostra il come si fa sembra catturare più attenzione del cosa si è fatto.
Ma perché ci piace così tanto vedere “il dietro le quinte”?
La risposta non è solo estetica. Vediamo insieme perché.
La mente umana è programmata per colmare i vuoti di conoscenza. Quando vediamo un prodotto finito, il cervello tende a chiedersi automaticamente: “Come ci sono arrivati?”
Mostrare il percorso — non solo il risultato — attiva un meccanismo di curiosità epistemica, cioè il desiderio di comprendere come funziona qualcosa.
👉 La psicologia cognitiva mostra che la curiosità è una delle leve più forti dell’apprendimento e dell’attenzione. Un contenuto che la stimola non intrattiene soltanto, ma coinvolge cognitivamente.
Viviamo in un’epoca di comunicazione patinata, dove tutto è filtrato, curato, perfetto. Il backstage spezza questa dinamica: mostra l’imperfezione, la realtà dietro l’immagine.
Il cervello umano riconosce e valorizza l’autenticità: vedere mani che lavorano, errori corretti, tentativi, dubbi o revisioni crea empatia.
In termini psicologici, il backstage riduce la distanza simbolica tra chi comunica e chi guarda: non è più “il brand” o “il professionista”, ma una persona reale che sta facendo qualcosa.
La trasparenza è uno dei fattori principali nella costruzione della fiducia. Mostrare come si lavora, anziché solo il risultato, comunica implicitamente onestà: “Non ho nulla da nascondere”.
Nel marketing, questa dinamica viene chiamata trust through transparency.
Mostrare il processo diventa una forma di garanzia: il pubblico percepisce che dietro ogni prodotto o servizio c’è impegno, competenza e cura.
Quando un creator o un brand mostra il proprio lavoro passo dopo passo, il pubblico non si limita a guardare: partecipa mentalmente.
Questo meccanismo è alla base delle relazioni parasociali, ovvero quei legami unilaterali che si instaurano tra spettatori e personaggi pubblici.
Chi segue il processo si sente coinvolto, come se fosse parte del team. Commenta, consiglia, incoraggia. E più partecipa, più aumenta il senso di connessione e appartenenza.
Il cervello ricompensa la sensazione di apprendere qualcosa di nuovo con il rilascio di dopamina, il neurotrasmettitore legato alla motivazione.
Ecco perché i video “come si fa” sono intrinsecamente gratificanti: ci fanno sentire più competenti, anche quando non riprodurremo mai quel processo nella vita reale.
Ogni passaggio svelato — una tecnica di montaggio, una formula creativa, un trucco pratico — genera un piccolo piacere cognitivo.
Nel linguaggio del marketing si parla spesso di “storytelling”, ma il backstage ci ricorda una cosa: il processo è la storia.
Ogni fase — idea, errore, revisione, successo — segue la struttura di un racconto con tensione, svolta e risoluzione.
È per questo che un video di 30 secondi può avere più impatto emotivo di una campagna intera: non mostra solo cosa hai fatto, ma come ci sei arrivato, e questo crea identificazione.
Mostrare il processo non significa perdere autorevolezza. Al contrario, è la capacità di esporre il lavoro senza maschere che rafforza la percezione di competenza.
La vulnerabilità (l’ammettere che qualcosa è in costruzione) unita alla padronanza (il saper gestire il processo) è uno dei mix più potenti nella comunicazione moderna.
È la differenza tra apparire perfetti e sembrare veri.
Ecco alcune applicazioni pratiche:
Il successo dei video “dietro le quinte” non è una moda: è un sintomo di un cambiamento profondo nel modo in cui le persone vogliono comunicare e ricevere contenuti.
In un mondo saturo di immagini perfette, la verità del processo è diventata la nuova forma di bellezza.
Per chi lavora nella comunicazione, questo trend è una lezione preziosa: la fiducia e l’interesse non si conquistano mostrando solo ciò che si è raggiunto, ma anche come ci si è arrivati.
Perché è nel processo — imperfetto, umano e autentico — che nasce la connessione vera.
Via Leonardo Da Vinci, 22, Paderno Dugnano