

Le piattaforme ci mostrano corpi, vite e progetti senza pieghe. Filtri, luci, editing e tagli veloci costruiscono l’estetica perfetta dei social media che, scorrendo, può diventare lo standard implicito a cui confrontiamo noi stessi.
Autostima condizionata dai numeri
Il valore personale finisce legato a like, visualizzazioni, commenti. Oscillazioni del feed = oscillazioni dell’umore.
Perfezionismo disfunzionale
Si posta solo se tutto è “a prova di critica”: si rimanda, si riscrive, ci si blocca.
Confronto
Guardando “il meglio” degli altri, il nostro “dietro le quinte” sbiadisce. Aumentano inadeguatezza, autosvalutazione e senso di ritardo sulla vita.
Auto-oggettivazione
Ci vediamo come oggetti da esporre/valutare: si monitora ogni dettaglio (viso, corpo, voce) perdendo contatto con i propri stati interni e bisogni.
Dipendenza da approvazione
Pubblico = giudice. La paura di deludere porta a contenuti poco autentici, burnout e fatica relazionale.
Se riconosci 2–3 punti, serve una correzione di rotta.
Dieta dei contenuti
Smetti di seguire ciò che ti fa sentire “meno”. Muta senza sensi di colpa. Aggiungi profili che mostrano processi reali, non solo risultati.
Allenare l’algoritmo.
Salva, commenta e condividi ciò che ti fa bene. L’algoritmo impara da te.
Finestre di scroll.
2–3 momenti al giorno, 10–15 min. Niente feed a letto: schermo fuori dalla camera.
Ancore di realtà.
Dopo 10 min di scroll, fai un’azione concreta di 2 min (bere, camminare, sistemare la scrivania). Riporta il corpo nel presente.
Linguaggio interno gentile.
Sostituisci “non valgo” con “sto imparando”. Sembra banale, ma cambia lo stato emotivo con cui torni alla tua giornata.
Stare bene online significa scegliere cosa guardare, come parlarci mentre lo guardiamo e quando fermarci. L’obiettivo non è smettere di apprezzare le cose belle, ma non usarle contro di noi.
Via Leonardo Da Vinci, 22, Paderno Dugnano